Storia degli sparatutto su console

Gli sparatutto su console (dagli inizi fino al 2000)

Alcuni dei più famosi sparatutto a scorrimento
Storia degli sparatutto su console

Uno sguardo alla Silver Age dei videogame

Pochissimi generi possono vantare un passato glorioso come quello degli sparatutto, vera e propria colonna portante del mondo dei videogame alla sua nascita. Hanno fatto dilapidare fortune in gettoni a quelli che sarebbero stati gli appassionati di videogame della prima generazione, che hanno poi provato il divertimento elettronico casalingo con le prime console, trovando in bundle con la più famosa di esse, l’Atari 2600, quello che fu il primo vero blockbuster nelle sale giochi: Space Invaders. Lanciato sul mercato nel 1979 dalla Taito e programmato da Toshihiro Nishikado, il gioco era veramente frenetico ed elaborato per i tempi, tanto che per anni l’incubo di ogni giocatore furono le schiere di alieni che scendevano verso terra, pronte a schiantare il loro piccolo carro armato verde. Quasi contemporaneo era Asteroids della Atari, piccolo capolavoro del duo Ed Logg/Lyle Rains che avevano ideato per il loro gioco un sistema di movimento a 360°, con la navetta comandata dal giocatore che doveva sparare a vari asteroidi vaganti senza essere colpita da essi. Asteroids fece letteralmente furore nelle sale giochi e ne fu sviluppata anche una versione per Atari 2600, con una grafica pesantemente ridimensionata. I puristi del coin-op dovettero aspettare il Vectrex per giocare a una conversione perfetta del loro gioco preferito, mentre, come da copione, il successo dell’originale aveva fatto nascere tutta una serie di emuli più o meno riuscita, dei quali meritano la citazione: Gravitar, Zektor e Omega Race. Erano gli anni dell’evoluzione dei primi concept dei videogame e si rincorrevano tra loro cloni dei giochi di maggior successo che portavano al loro interno, a volte in maniera inconsapevole, piccole innovazioni che sarebbero germogliate nei titoli che avrebbero ottenuto sufficienti consensi da meritare un sequel. Fu così per Galaxian della Namco che introduceva un fondale che dava una minima illusione di movimento, ripreso anche dal suo sequel Xevious, in cui era possibile agganciare un’altra astronave alla propria per guadagnare potenza di fuoco. Tutti questi elementi sarebbero stati sfruttati al meglio da un altro titolo della Namco, che uscì solo nel 1982 mentre nel 1980 i riflettori erano tutti puntati su un cassone da sala con il logo Williams: il nome del gioco è Defender e la folla impazzisce. Il suo ideatore, Eugene Jarvis, inizialmente avrebbe voluto realizzare una versione semplificata di Space War da distribuire in modo limitato nelle sale giochi, tuttavia, grazie ai consigli dei colleghi Larry De Mar, Sam Dicker e Paul Dussault, cambiò completamente la direzione del progetto mantenendo alcuni elementi dell’idea originale. Defender è stato il padre spirituale degli sparatutto a scorrimento orizzontale e presentava anche una innovazione che, in seguito, sarebbe stata ripresa rara-mente da altri titoli simili: il radar, che indicava la presenza dei nemici in avvicinamento e permetteva, quindi, di pensare a strategie e traiettorie da seguire qualche secondo prima del contatto visivo vero e proprio con i nemici. Altro vero e proprio capostipite fu Xevious, nel 1982, un gioco nato da un’alleanza tra Atari e Namco che dettava gli stilemi attorno ai quali sarebbero stati “costruiti” gli sparatutto a scorrimento verticale, campo che sarebbe stato sfruttato al massimo anni dopo dalla Taito. Più si andava avanti e più il genere si arricchiva di nuovi elementi ma al contempo il mercato delle console andava sempre di più incontro alla grande crisi che lo avrebbe distrutto quasi completamente.

Morte, transizione e rinascita

Molto probabilmente, quando è successo, i più erano nelle loro stanze a rigiocare a River Raid o ad altri titoli storici, del tutto inconsapevoli di quello che stava accadendo in America. E’ il 1984 e la Time Warner svende le azioni dell’Atari, scatenando l’ondata di panico che porterà il mercato dei videogame alla rovina. Tutto era nato sul boom improvviso del divertimento elettronico, ma mancavano manager sufficientemente esperti per reggere un periodo di magra e le società non vollero rischiare i loro capitali, finendo paradossalmente per perdere cifre maggiori rispetto a quelle che si erano illusi di risparmiare. E’ un brutto momento per i videogiocatori, alleviato dall’uscita di coin-op come Commando, frutto di una collaborazione tra la Data East e la Capcom. Stavolta, al posto della classica astronavina, si guidava un soldato il cui scopo era farsi largo tra le file nemiche, concept ripreso più tardi da software house come la SNK con Ikari Warriors. Qualcosa nel settore casalingo stava già cambiando, comunque, e con l’introduzione del NES le console tornano a respirare, giusto in tempo per la conversione di Gradius della Konami, che sfruttava appieno il concetto di armamento variabile unendo al tutto un impatto grafico notevole che si basava anche sullo stile inusuale con cui era stato disegnato il tutto. Gradius sarebbe diventato il gioco della Konami con il maggior numero di sequel, nonché il rivale giurato di una new entry che ridefiniva ulteriormente il genere ma, prima di parlare di tale gioco, apriamo una parentesi su Side Arms della Capcom. Creato da Yoshiki Okamoto, già autore di Gyruss; Side Arms è il perfetto precursore di Forgotten Worlds, uno dei primi titoli basati sulla famosa scheda CPS che si affermò appieno tra il 1989 e il 1990. Alla guida di un robot da combattimento si dovevano eliminare le solite forze meccanizzate da invasione, con la differenza che stavolta il controllo del mezzo è più strutturato ed è anche possibile girarsi per colpire gli avversari che attaccano alle spalle ecc. E’ di fatto l’idea base del sistema di fuoco a 360° di Forgotten Worlds, che avrebbe si reso famoso il gioco ma anche terribilmente difficile da convertire su console e home computer. Okamoto, in seguito, sarebbe passato alla storia per avere ideato prima Final Fight e poi Street Fighter 2, ma ci sembrava giusto citare anche quel gioiellino che è Side Arms di cui esiste solo una conversione per PC-Engine. Nel 1987 esce R-Type della freni che si distingue subito grazie a un sistema di armi variabile e, soprattutto, per la presenza del pod “satellitare” a disposizione variabile, senza contare il beam caricabile tramite la pressione prolungata del tasto di fuoco. Il design della grafica era estremamente sofisticato, con livelli che spaziavano da fortezze meccaniche a veri e propri alveari alieni ispirati direttamente a quello visto nel film culto Aliens, uscito l’anno prima. R-Type non fu mai convertito per il NES, ma venne invece pubblicato per il Master System della Sega, essendo parte di un package di giochi Irem (tra cui anche Vigilante) i cui diritti furono acquisiti dalla grande “S“. La conversione dimostrava appieno le potenzialità del Master System, risultando estremamente simile al coin-op, se si escludono difetti come il frequente sfarfallio degli sprite. Sempre a quel periodo appartiene Contra della Konami, in cui due guerriglieri dovevano sventare la classica invasione ai danni del nostro pianeta prima in sala giochi e poi su NES, mantenendo invariata la grande giocabilità. In occidente al gioco fu cambiato nome in Gryzor (che i più attenti all’epoca avevano già associato al cognome dei due guerriglieri originali) e i due personaggi principali furono mutati in robot per evitare l’associazione con la guerra in Nicaragua, dove i veri contra morivano a centinaia. All’epoca la Taito era un vero e proprio colosso nel mercato degli arcade tanto da permettersi di far uscire anche quattro titoli all’anno (che fossero quasi tutti sparatutto a scorrimento verticale tutti uguali era un altro paio di maniche…) e, visto il successo di R-Type, non volle rischiare di perdere il treno e fece uscire Darius che a fronte di una mancanza quasi totale di innovazione, presentava uno stile grafico estremamente particolare con nemici e mezzi che sembravano versioni metalliche di creature marine. Anche quest’ultimo arrivò sull’8 bit della Sega con buoni risultati sul piano tecnico e della giocabilità rendendo la macchina piuttosto famosa presso gli appassionati del genere.

La grand’eur

Tirate le somme della prima esperienza con il Master System, la Sega decise di anticipare la Nintendo producendo, con un anno di anticipo rispetto alla rivale, la prima console a 16 bit, ovvero il Megadrive. Quello che nessuno sapeva era che il Super Famicom si sarebbe fatto attendere per molto tempo a causa della crisi del silicio che colpì il mercato proprio nel periodo che va dal 1989 al 1990, che fece di fatto slittare l’uscita della console, lasciando momentaneamente Sega e Nec a contendersi il nuovo mercato. Il PC Engine, nonostante fosse un 8 bit, aveva un’architettura custom che gli permetteva di rivaleggiare con le performance del Megadrive e, manco a farlo a posta, il genere maggiormente diffuso su tale macchina era quello degli sparatutto. Tra questi è bene ricordare Gunhead, ai tempi il più veloce shooter a scrolling verticale al di fuori delle sale giochi, e Spriggan, gioco disponibile esclusivamente per la periferica CD-Rom che gli permetteva un maggiore stoccaggio di dati, tutto a vantaggio della realizzazione tecnica. In occidente spesso e volentieri tali giochi vengono scambiati per tie-in a causa dell’omonimia del primo con un live action movie della Sunrise (da cui è stata poi tratto un manga disegnato da Kia Asamiya, pubblicato anche da noi anni or sono su Zero della ormai defunta Granata Press) e del secondo con un manga da cui di recente è stato tratto anche un film di animazione. Tra le altre cose il PC Engine ha avuto la migliore conversione di R-Type in assoluto anche se, a causa dei limiti di memoria, il gioco fu “spezzato” e distribuito in due parti acquistabili separatamente, di cui la seconda è stata scambiata da molti per il sequel del gioco della Irem a causa della scritta “R-Type — Pari 2” sulla confezione. Il Megadrive, invece, a livello di titoli ebbe una partenza più stentata e uno dei primi giochi del genere fu Thunder Force II, prodotto da una piccola software house dalla scarsa fama chiamata Tecno Soft che ne aveva prodotto il prequel su MSX e sui computer giapponesi al tempo in voga. Thunder Force II non si presentava certo come un titolo trascendentale, alternando sequenze a scrolling orizzontale con altre multidirezionali viste dall’alto e, in definitiva, era realizzato in una maniera piuttosto altalenante, senza contare la mancanza di mordente e di frenesia che rappresentavano i veri talloni d’Achille del titolo. Incredibile, il suo sequel riuscì a battere l’eccellente conversione di Hellfire e ad assicurarsi il titolo di migliore sparatutto dell’epoca grazie alle sue caratteristiche brillanti tra cui la colonna sonora rockeggiante e gli eccellenti effetti grafici. Thunderforce III fece letteralmente epoca e molte persone comprarono il Megadrive per giocarci. Come secondo risultato si spezzava lo strettissimo legame con le sale giochi, visto che per la prima volta il paradigma del genere non era una conversione ma un gioco nato su console. Dell’annata del 1990 si distingue anche la versione PC Engine di Aero Blasters della Kaneko, grazie al suo design e per la presenza di una buona modalità a due giocatori. L’anno dopo il gioco venne pubblicato anche su Megadrive, dove non incontrò il favore della critica a causa della giocabilità che aveva perso qualcosa nel passaggio mentre, in compenso, la grafica appariva più vicina al coin op. Breve menzione anche per il Neo Geo della SNK. console a 16-bit con cartucce dalla notevole capienza e dal costo mostruoso. Più avanti tale console si è specializzata nei picchiaduro alla Street Fighter 2, tuttavia la prima “mandata” di giochi era piuttosto variegata e comprendeva buoni shooter come Aso 2 ( in occidente Alpha Mission 2), sequel di un vecchio gioco per NES, o Andro Dunos, senza contare Last Resort, uno dei pochi giochi in cui i piloti nemici cadevano dagli aerei in fiamme spiattellandosi al suolo. Nel frattempo l’uscita del Super Famicom avrebbe innescato un ulteriore cambiamento nel genere spingendolo in un secondo tempo a risultati inimmaginabili.

L’arrivo del Super Famicom

Il Super Famicom (che da noi sarebbe diventato il Super Nes, per gli amici Snes) era una macchina con eccellenti capacità grafiche che seguiva il trend del PC Engine. Di fatto, sebbene la Nintendo lo spacciasse come un 16-bit, si trattava di un sistema che si avvaleva di due processori centrali a 8-bit che lavoravano in parallelo ma che non sono comunque cumulabili nella definizione della capacità di elaborazione. L’elevato numero di coprocessori evitava alla CPU di dover gestire troppi dati vista la sua lentezza, dovuta alla clock di 3,58 Mhz. Ai programmatori fu necessario un certo periodo di tempo per imparare a sfruttare al meglio le caratteristiche della macchine e, inevitabilmente, nei primi giochi con un gran numero di sprite su schermo di
verificavano alcuni rallentamenti. Tragicamente quello degli sparatutto era il settore più colpito da questo problema, manifestatosi fin da subito con la conversione del già mediocre
Gradius III. Poco più tardi la Capcom sviluppò quello che rimase per un notevole periodo di tempo il paradigma del settore per la macchina Nintendo, ovvero Area 88, conversione dell’omonimo coin-op tratto dall’altrettanto omonimo manga a sfondo avionico disegnato da Karou Shintani. I rallentamenti si facevano sentire nonostante l’opzione a due giocatori fosse stata tagliata per buona misura, tuttavia le implementazioni (come la possibilità di comprare aerei diversi oltre alle armi) e le migliorie grafiche lo rendevano sensibilmente migliore del gioco originale. Di seguito ci fu un tremendo periodo di vuoto condito con la delusione della conversione di Thunderforce III che cambiava nome in Thunder Spirits, perdendo di qualità in tutti i comparti e risultando alla fin fine un titolo da dimenticare. Probabilmente i primi a sfruttare al meglio lo Snes furono i programmatori della Konami con Contra Spirits nel 1992, terzo capitolo delle avventure dei fratelli Gryzor che, per l’occasione. riempivano di proiettili un intero impero alieno realizzato in modo davvero impressionante. La frenesia ai massimi livelli e l’opzione per due giocatori rendevano il titolo letteralmente imperdibile per appassionati e non. La Konami, di seguito, bombardò la console Nintendo con una sequela di titoli di alto profilo tra i quali Assault Suit Valken (che detto per inciso NON è il sequel di Assault Suit Leynos uscito in precedenza su Megadrive, sebbene sia concettualmente molto simile), definito da molti come il gioco di “robottoni” definitivo. Vale la pena parlare anche di Axelay uno dei titoli più originali del genere, in cui il Mode 7 (la modalità grafica dello Snes che serviva a realizzare effetti di zoom usando l’hardware e non programmandoli specificamente) per rendere un’idea di orizzonte prospettico nelle sequenze a scrolling verticale. In definitiva c’erano più effetti speciali che giocabilità ma il divertimento non mancava. Al contrario Super Aleste era un vero e proprio concentrato di gameplay e a giudicare dal predecessore (un gioco per Master System piuttosto mediocre, da non confondere con Musha Aleste per Megadrive che è fatto di ben’altra pasta). Ovviamente la concorrenza non stava a guardare. basta citare Thunderforce IV per Megadrive o Spriggan II su PC Engine. senza contare un gran numero di sparatutto sempre per quest’ultima console.

Il crepuscolo degli dei

Il passaggio dai 16-bit ai 32 segna il definitivo disamore del pubblico verso gli sparatutto classici, ormai genere ritenuto da molti (a torto) un genere troppo limitato per le nuove macchine. Tra i tentativi falliti di rinnovarne la tipologia di gioco si collo-a Philosoma, prodotto dalla Sony all’alba della PlayStation, goffa unione multievento di scrolling orizzontale, verticale e con visuale alla Galaxy Force. Di seguito si passa direttamente al sottovalutatissimo Thunderforce V per Saturn, al buono ma non troppo Raystorm per Psx e a Etnhander, eccellente gioco di una Square che all’epoca non sbagliava un colpo. Assolutamente degno di menzione è Radtant Savergun dei Treasure, ultimo grande sparatutto per Saturn in ultima analisi il culmine
della limitata produzione del genere sui 32-bit. Giochi come G-Darius e R-Type Delta si sono dimostrati discreti ma alla prova dei fatti sono stati la conferma che ormai la stagione dei
successi Irem e Tasto e tramontata e alle due software house. un tempo veri giganti del settore, non resta altro che un futuro di medio e basso
profilo.